Protrusioni discali: distinguerle dalle ernie al disco e diagnosticarle
Cattive abitudini, vita sregolata e carichi di lavoro pesanti senza alternare adeguati periodi di riposo, sport particolarmente stancati ed anche una certa predisposizione fisica alla sindrome; questi e tanti altri fanno parte del vasto insieme di elementi che nel tempo contribuiscono all’insorgenza alla comparsa delle protrusioni discali, ovvero una particolare forma di discopatia, ad interessamento del disco intervertebrale che lo induce a perdere la sua conformazione, sia morfologica che funzionale, rispetto allo scopo di ammortizzare i carichi di peso, peculiarità tipicamente meccanica ritenuta basilare per la colonna vertebrale.
Sebbene le sindromi siano correlate in realtà tra protrusioni discali ed ernia al disco, quest’ultima la cui insorgenza è correlata proprio all’aggravamento della prima, esistono delle lievi ma importanti differenze che durante la fase di diagnosi indurrà a sentir parlare di entrambe le patologie in modo separato, ciò a causa anche del tipo di danno provocato a carico di dischi intervertebrali, i quali, secondo le nozioni di anatomia di base, oltre a rappresentare il 25% dell’intera colonna, con una percentuale che si riduce progressivamente nel tempo a causa dell’invecchiamento, possono perdere sensibilità, creando problematiche ai movimenti, a causa dell’erosione forzata e spinta con rigonfiamenti, con conseguente dolore.
Proprio il rigonfiamento rappresenta la chiave di demarcazione delle PROTRUSIONI DISCALI, quando infatti quest ultimo interessa l’area più esterna allora le si distingue dalle comuni ernie al disco, quest’ultima tale quando il fenomeno alla base della prima provocala rottura con conseguente perdita di nucleo polposo che si posiziona in una zona estranea alla sede fisiologica, interessando le strutture annesse alla zona colpita, dove spiccano i fasci nervosi. Le protrusioni discali vantano una frequenza d’insorgenza maggiore rispetto alle ernie del disco, ciò poiché queste ultime rappresentano lo stadio terminale con un processo difficile da recuperare, una volta verificatasi la rottura delle infiammazioni che possono invece essere trattate, ciò grazie alla sintomatologia di dolore legata alla loro comparsa che rende le protrusioni facilmente identificabili e diagnosticabili.
In caso di complicanze, una percentuale davvero esigua ma pur sempre esistente, la comparsa delle protrusioni discali evolvendo in ernie del disco possono indurre ad una compressione, per rotture e perdita di ammortizzazione del disco intervertebrale colpito, delle radice nervose e della dura madre, quest’ultima la guaina di rivestimento del midollo spinale creando complicanze serie sulla mobilità e l’autonomia nella vita quotidiana. La sintomatologia può essere assente, un eventualità molto rara, oppure presente in forme di dolori variabili che possono spaziare dalle tipologie continue ed intermittenti come anche le forti o le lievi, in base alla complessità e la porzione di disco interessata dal rigonfiamento, spesso tenendo conto anche degli sforzi applicati, in modo inconsapevole, sul problema aggravandone la situazione ad aumentandone i sintomi.
In tali casi la soluzione per individuare, avendo la totale certezza, l’eventuale presenta di protrusioni discali è fare ricorso a strumenti diagnostici, utilizzati da specialistici, come la tac o la risonanza magnetica, che possono fornire un esito certo, permettendo ai soggetti interessati dal problema di procedere subito all’identificazione di una terapia di recupero in tempi celeri ed in base alla situazione emersa.
Autore: ciro
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